Le foto di Antonio Riefolo
La cifra stilistica dell’autore:
il Bianco e il Nero, l’alfa
e l’omega della scala tonale, la luce e l’ombra e il gradiente di tono degli
opposti, pulviscolo atmosferico che illumina e rivela, assimila e nasconde, il tutto e la parte, paesaggi e ambienti,
antropici e naturali, nature morte e oggetti, ruderi e scarti di un consumo usa
e getta.
Cosa poteva aggiungere il colore alla
scelta stilistica di Antonio? Nulla! Se non un inutile supplemento informativo,
o chiassoso lustrino buono a distogliere l’attenzione dal rigore formale della
composizione e dello specifico più caratteristica dell’analogo fotografico: il Tempo.
Foto n. 1) Piazzetta: Uno spazio,
un locale e un ambiente, di altra epoca, tra il domestico e il sociale, il
privato e il conviviale, dove avventori di un bar tipicamente mediterraneo, al
riparo degli ombrelloni dialogano e consumano, la chiacchera e il caffè, in
intimità ed estensione coi possibili inquilini dei palazzi prospicenti sulla
piazza.
Risultato dello scatto: Il congelamento
di uno spazio-ambiente di un tempo lontano del quale avere forse un po’ di
nostalgia, e non per idealizzare il passato, dimentichi come siamo che il
sangue e i cattivi odori il ieri il tempo li ha portati via mentre quelli di
oggi appestano ancora l’aria. E se il rimpianto ci assale di fronte al soggetto
di Antonio, è perché la piazza odierna, fisica e virtuale, è iperdimensionata, pubblicamente
affollata, rumorosamente oscena e priva della sociabilità, della convivialità,
e del piacere di ritrovarsi insieme in un’ambiente a misura d’uomo, gradevolmente
domestico, pubblico e privato insieme.
Vito Teti: “Il passato
c’è è resta, il presente e il futuro perdono invece il loro carattere temporale”.
3) Grotte
– Forme e ambiente, pieni e vuoti modellati dal tempo, dei secoli e dei
millenni, come scalpellino mosso dalla logica michelangiolesca, del togliere, del levare, e che invece altro non sono che accidenti della natura, archetipi, forme
fascinose e levigate come moderne sculture di Henry Moore.
4) Oppido Vecchia - Il
terremoto del 5 febbraio 1783: il tempo e la storia, i ruderi superstiti di un
vecchio arco e le presenze assenze dei protagonisti che l’evento l’hanno
vissuto, e noi posteri di noi stessi che riviviamo l’evento attraverso lo
scatto fotografico di Antonio, che vuole ricordare, perché ricordare è facoltà
di memoria, consapevoli come siamo che se di tante inutili cose siamo
circondati, alla fin fine, per sopravvivere, di una sola non possiamo fare a
ameno: la memoria. Decifrare il rapporto con il passato significa capire il
nostro rapporto con i luoghi e con noi stessi (Vito Teti).
5-6-7) Stazione Calabro Lucane Taurianova
Una prospettiva centrale con un punto di fuga e una meta:
il viaggio come metafora di un altrove indefinito e vago, luogo esemplare di coordinate spazio- temporali e di tutte le
possibili mete: dell’avventura in potenza e in essenza, insita nella fuoriuscita del quotidiano,
nell’incontro e nell’esperienza di paesaggi e volti nuovi aperti al confronto
con il simile e con lo scorrere ciclico delle stagioni, anche quando lo scatto congela,
la neve e il paesaggio, la natura e il cielo che rumorosamente richiama lo
scempio e l’abbandono, l’oblio e la memoria degli smemorati internauti di oggi.
8) Cantina di via Diaz
Il tempo e la memoria: dell’utile e del rimpianto, di
una coltura e di una bevanda- il vino- balsamo e ristoro, consolazione e
sollievo alla vita grama e agli affanni di tanta povera gente di un tempo che
fu, e di una tecnica, che ci piacerebbe conservare dall’inutile pattume del
quale festosamente ci liberiamo ad ogni capodanno.
9-10) Casolare
di S. Leo –Vecchio Balcone
Vestigia di una vecchia costruzione modellata dal
tempo e da ciclici interventi epocali. Forse
un ex convento, che tra innesti e rimaneggiamenti, conserva ancora il fascino del
sacro e del profano, il mistero del tempo e di una umanità passata e presente
che nella proiezione del balconcino prospicente sulla strada è apertura e
richiamo al sociale e alla contaminazione con l’ambiente.
Paradosso del
caso: la rivista TEMPO che il TEMPO dell’uomo consuma, conserva e distrugge
prima che l’ambiguità dello scatto di Antonio la rifotografi nella categoria di
immagine di un immagine di un immagine.
12) Resti un
altare in contrada Torre di Cittanova-
Rudere, tassello di memoria di un tempo e di un
passato romanticamente superstite e presente: all’occhio e alla storia di chi –
come Antonio - posato lo sguardo non
vuole dimenticare.
13) Palazzo
Muratori- Cittanova
Prospettiva centrale che esalta e potenzia la monumentalità
del vecchio edificio, messaggio di censo
del tempo in cui le classi erano separate e rigide, e il palazzo, segno
tangibile di casta, nobiliare o borghese che fosse, difronte al quale il popolo
minuto non poteva che avvertire la mera
insignificanza di un vivere legato al censo, alla nascita,
e all’ininterrotta catena degli anelli del fato e della vita.
Testimone e monumento di un’epoca scandita dal suono
della campana, che segnava le ore del giorno: del mattino e della sera, della
fatica e del riposo e l’alba della lieta novella in destino ultimo e salvifico.
16) Vecchio
mulino tra Cannavà e Rizziconi
Immagine tra le più suggestive per la scala tonale e
le sciabolate di luce che squarciano e potenziano la maestà del cielo, il riflesso
dell’orizzonte, e la vetusta fantasmatica immagine del vecchio mulino, tassello
di storia e di memoria, superstite e riservato testimone difronte alla prorompente
ventata ipermodernista, dimentica del tempo
in cui il ritmo cadenzato e lento scandiva il lavoro e l’opera dell’uomo per
supplire ai bisogni e agli affanni contingenti del vivere e del sopravvivere in
anonima esistenza.
17) Vecchio
palazzo Jatrinoli
Un vecchio palazzo congelato da una prospettiva accidentale per esaltarne i caratteri epocali dell’imponenza, manifesto di status sociale di appartenenza, di classe e di censo, che il rudere ricorda, e che oggi si percepisce, senza nostalgia e rimpianto.
18) Stilo
– Paesaggio - Agglomerato urbano con le case addossate l’una all’altra del
tempo in cui quando le intemperie, i pericoli del brigantaggio interno e della
pirateria turchesca, consigliavano vicoli e strutture addossate l’un l’altra
funzionali alla sicurezza personale e collettiva. Uno scatto tra storia e
frammenti di memoria dei quali l’omino sulle scale sembra essere pervicace
testimone di una storia
19) Mileto
vecchia
Il sito, primo e fiorente centro della civiltà
normanna del meridione, dopo secoli di storia, declina e miseramente perisce
quando forze incontrollabili, come i terremoti del XVIII° sec. e del 5 febbraio
1783, in particolare, scatenano la terribile potenza distruttiva e l’umano
terrore difronte al quale l’uomo, inerme e atterrito, sperimenta l’orrore e
l’impotenza di forze lo schiacciano e lo sovrastano, e la precarietà fattuale
del suo secolare operare, sempre in bilico, tra costruzione e distruzione, vita
e morte, imponderabilità e razionalità.
Il superstite cilindro di colonna in primo piano,
l’imponente rudere della torre, e la cirrotica nuvolaglia soprastante,
congelati dallo scatto di Antonio, ci ricordano gli insulti e le periodiche
distruzioni che il tempo arreca alla storia e all’opera dell’uomo.
20) Orsacchiotto
e rifiuti
Immagine simbolo del disvalore consumistico, arido e
funzionale al bisogno di un mattino, e poi via, anche quando sull’oggetto,
ludico e giocoso, si investe l’affettività del giorno che muore, segno segnale
di instabilità emotiva e paradosso di relazione tra passato e presente senza
più nesso tra oggetti desueti, e privi della relazione umana e valoriale che si
stabilisce col mondo e con l’oggetto. La scelta del bianco e nero, e la modulazione
tonale dei grigi, esalta l’inutilità del superfluo, del bisogno consumistico, desiderio
e appagamento, instabile ed emotivo, che molto connota, la civiltà e il tempo,
il singolo e la specie.
p.s. il titolo della mostra nasce dal fatto che le mie foto rappresentano attualmente un utopia irrealizzabile perchè ognuno di questi luoghi da me fotografato non avrà più vita...
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