domenica 4 giugno 2017

636° foto utopia

Si è aperta giorno 28 maggio 2017 presso il Frantoio delle Idee di Cinquefrondi la mia mostra fotografica, ad introdurre e presentare la mostra il Professore Rocco Ruggiero che con una piccola lectio magistralis ha introdotto bene il mio pensiero fotografico che lui partendo dalla magna grecia per arrivare ai giorno nostri ha sintetizzato in buona sostanza come io abbia fotografato il tempo... ed io aggiungo in particolare ho fotografato in gran parte di esse una data ben precisa il 5 febbraio 1783 giorno di uno dei più grandi terremoti che l'italia abbia mai visto e che ha cambiato il volto la geografia e la storia di molti luoghi a noi vicini. Di seguito vi riporto testualmente i commenti per ogni singola foto che il professore ha voluto fare.



Le foto di Antonio Riefolo

                          La cifra stilistica dell’autore:
il Bianco e il Nero, l’alfa e l’omega della scala tonale, la luce e l’ombra e il gradiente di tono degli opposti, pulviscolo atmosferico che illumina e rivela, assimila e nasconde,  il tutto e la parte, paesaggi e ambienti, antropici e naturali, nature morte e oggetti, ruderi e scarti di un consumo usa e getta.

Cosa poteva aggiungere il colore alla scelta stilistica di Antonio? Nulla! Se non un inutile supplemento informativo, o chiassoso lustrino buono a distogliere l’attenzione dal rigore formale della composizione e dello specifico più caratteristica dell’analogo fotografico: il Tempo.
Foto n. 1) Piazzetta: Uno spazio, un locale e un ambiente, di altra epoca, tra il domestico e il sociale, il privato e il conviviale, dove avventori di un bar tipicamente mediterraneo, al riparo degli ombrelloni dialogano e consumano, la chiacchera e il caffè, in intimità ed estensione coi possibili inquilini dei palazzi prospicenti sulla piazza.

 Risultato dello scatto: Il congelamento di uno spazio-ambiente di un tempo lontano del quale avere forse un po’ di nostalgia, e non per idealizzare il passato, dimentichi come siamo che il sangue e i cattivi odori il ieri il tempo li ha portati via mentre quelli di oggi appestano ancora l’aria. E se il rimpianto ci assale di fronte al soggetto di Antonio, è perché la piazza odierna, fisica e virtuale, è iperdimensionata, pubblicamente affollata, rumorosamente oscena e priva della sociabilità, della convivialità, e del piacere di ritrovarsi insieme in un’ambiente a misura d’uomo, gradevolmente domestico, pubblico e privato insieme.
Vito Teti: “Il passato c’è è resta, il presente e il futuro perdono invece il loro carattere temporale”.
 2) Targa Florio – Anche qui, una prospettiva centrale con un punto di fuga convergente verso una consunta targa pubblicitaria della famiglia Florio con gli elementi essenziali della sua storia, e di ogni storia,  le persone, i luoghi,  il tempo e l’attimo fuggente del tempo atmosferico del  nuvolone minaccioso del cielo sovrastante, richiamo di memoria alla precarietà esistenziale della specie.
3) Grotte – Forme e ambiente, pieni e vuoti modellati dal tempo, dei secoli e dei millenni, come scalpellino mosso dalla logica michelangiolesca, del togliere, del  levare, e che invece altro non sono  che accidenti della natura, archetipi, forme fascinose e levigate come moderne sculture di Henry Moore.
4) Oppido Vecchia -  Il terremoto del 5 febbraio 1783: il tempo e la storia, i ruderi superstiti di un vecchio arco e le presenze assenze dei protagonisti che l’evento l’hanno vissuto, e noi posteri di noi stessi che riviviamo l’evento attraverso lo scatto fotografico di Antonio, che vuole ricordare, perché ricordare è facoltà di memoria, consapevoli come siamo che se di tante inutili cose siamo circondati, alla fin fine, per sopravvivere, di una sola non possiamo fare a ameno: la memoria. Decifrare il rapporto con il passato significa capire il nostro rapporto con i luoghi e con noi stessi (Vito Teti).


5-6-7) Stazione Calabro Lucane Taurianova

Una prospettiva centrale con un punto di fuga e una meta: il viaggio come metafora di un altrove indefinito e vago, luogo esemplare  di coordinate spazio- temporali e di tutte le possibili mete: dell’avventura in potenza e in essenza,  insita nella fuoriuscita del quotidiano, nell’incontro e nell’esperienza di paesaggi e volti nuovi aperti al confronto con il simile e con lo scorrere ciclico delle stagioni, anche quando lo scatto congela, la neve e il paesaggio, la natura e il cielo che rumorosamente richiama lo scempio e l’abbandono, l’oblio e la memoria degli smemorati internauti di oggi.
 
8) Cantina di via Diaz


Il tempo e la memoria: dell’utile e del rimpianto, di una coltura e di una bevanda- il vino- balsamo e ristoro, consolazione e sollievo alla vita grama e agli affanni di tanta povera gente di un tempo che fu, e di una tecnica, che ci piacerebbe conservare dall’inutile pattume del quale festosamente ci liberiamo ad ogni capodanno.

9-10) Casolare di S. Leo –Vecchio Balcone

Vestigia di una vecchia costruzione modellata dal tempo e da ciclici interventi epocali.  Forse un ex convento, che tra innesti e rimaneggiamenti, conserva ancora il fascino del sacro e del profano, il mistero del tempo e di una umanità passata e presente che nella proiezione del balconcino prospicente sulla strada è apertura e richiamo al sociale e alla contaminazione con l’ambiente.
 11) Rivista il Tempo
 Paradosso del caso: la rivista TEMPO che il TEMPO dell’uomo consuma, conserva e distrugge prima che l’ambiguità dello scatto di Antonio la rifotografi nella categoria di immagine di un immagine di un immagine.
12) Resti un altare in contrada Torre di Cittanova-

Rudere, tassello di memoria di un tempo e di un passato romanticamente superstite e presente: all’occhio e alla storia di chi – come Antonio -  posato lo sguardo non vuole dimenticare.
13) Palazzo Muratori- Cittanova

Prospettiva centrale che esalta e potenzia la monumentalità del vecchio edificio,  messaggio di censo del tempo in cui le classi erano separate e rigide, e il palazzo, segno tangibile di casta, nobiliare o borghese che fosse, difronte al quale il popolo minuto non  poteva che avvertire la mera insignificanza di un vivere legato al censo, alla  nascita,  e all’ininterrotta catena degli anelli del fato e della vita.

 14-15) Chiesa campestre-Casolare e chiesa campestre di contrada S: Leonardo Cittanova
Testimone e monumento di un’epoca scandita dal suono della campana, che segnava le ore del giorno: del mattino e della sera, della fatica e del riposo e l’alba della lieta novella in destino ultimo e salvifico.
16) Vecchio mulino tra Cannavà e Rizziconi

Immagine tra le più suggestive per la scala tonale e le sciabolate di luce che squarciano e potenziano  la maestà del cielo, il riflesso dell’orizzonte, e la vetusta fantasmatica immagine del vecchio mulino, tassello di storia e di memoria, superstite e riservato testimone difronte alla prorompente ventata ipermodernista, dimentica  del tempo in cui il ritmo cadenzato e lento scandiva il lavoro e l’opera dell’uomo per supplire ai bisogni e agli affanni contingenti del vivere e del sopravvivere in anonima esistenza.


17) Vecchio palazzo Jatrinoli

Un vecchio palazzo congelato da una prospettiva accidentale per esaltarne i caratteri epocali dell’imponenza, manifesto di status sociale di appartenenza, di classe e di censo, che il rudere ricorda, e che oggi si percepisce, senza nostalgia e rimpianto.
 
18) Stilo – Paesaggio - Agglomerato urbano con le case addossate l’una all’altra del tempo in cui quando le intemperie, i pericoli del brigantaggio interno e della pirateria turchesca, consigliavano vicoli e strutture addossate l’un l’altra funzionali alla sicurezza personale e collettiva. Uno scatto tra storia e frammenti di memoria dei quali l’omino sulle scale sembra essere pervicace testimone  di una storia



19) Mileto vecchia

Il sito, primo e fiorente centro della civiltà normanna del meridione, dopo secoli di storia, declina e miseramente perisce quando forze incontrollabili, come i terremoti del XVIII° sec. e del 5 febbraio 1783, in particolare, scatenano la terribile potenza distruttiva e l’umano terrore difronte al quale l’uomo, inerme e atterrito, sperimenta l’orrore e l’impotenza di forze lo schiacciano e lo sovrastano, e la precarietà fattuale del suo secolare operare, sempre in bilico, tra costruzione e distruzione, vita e morte, imponderabilità e razionalità.
Il superstite cilindro di colonna in primo piano, l’imponente rudere della torre, e la cirrotica nuvolaglia soprastante, congelati dallo scatto di Antonio, ci ricordano gli insulti e le periodiche distruzioni che il tempo arreca alla storia e all’opera dell’uomo.

20) Orsacchiotto e rifiuti

Immagine simbolo del disvalore consumistico, arido e funzionale al bisogno di un mattino, e poi via, anche quando sull’oggetto, ludico e giocoso, si investe l’affettività del giorno che muore, segno segnale di instabilità emotiva e paradosso di relazione tra passato e presente senza più nesso tra oggetti desueti, e privi della relazione umana e valoriale che si stabilisce col mondo e con l’oggetto. La scelta del bianco e nero, e la modulazione tonale dei grigi, esalta l’inutilità del superfluo, del bisogno consumistico, desiderio e appagamento, instabile ed emotivo, che molto connota, la civiltà e il tempo, il singolo e la specie. 

p.s. il titolo della mostra nasce dal fatto che le mie foto rappresentano attualmente un utopia irrealizzabile perchè ognuno di questi luoghi da me fotografato non avrà più vita...

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